martedì 30 ottobre 2012

Quali fattori hanno permesso alla Germania di evitare la distruzione di lavoro anche nei periodi più bui della crisi europea?





Stando a quanto indicato dai principali studi di analisi macroeconomiche, la risposta sta in quattro differenze essenziali tra Berlino e i paesi dell’Europa periferica. La prima grande differenza consiste nella presenza di un grande settore industriale,
caratterizzato da incrementi della produttività costanti e generalizzati, da una propensione all’export e da un mercato del lavoro significativamente flessibile. L’insieme di questi fattori opera come un grande scudo, svolgendo il ruolo di rifugio dinanzi alle incertezze occupazionali. La potenza del settore industriale, in particolare di quella dei grandi conglomerati multinazionali, offre un ombrello protettivo alle tante piccole e medie imprese del paese, che sono cresciute allo stesso ritmo dettato dai soci di maggiori dimensioni.
Gli incrementi di produttività costanti e generalizzati sono stati raggiunti mediante un sistema che lega gli incrementi salariali non tanto alle variazioni dei prezzi al consumo, ma all’evoluzione della produttività delle imprese o del settore di appartenenza. Questo metodo evita che si materializzino perdite di competitività causate da incrementi dei salari e margini di benefici eccessivi, com’è invece accaduto in tutti i paesi dell’Europa meridionale.
La forza delle esportazioni, legata al fattore ‘competitività, consente all’economia teutonica di diversificare i rischi a carico delle imprese, potendo fare affidamento simultaneamente su un mercato domestico e uno oltrefrontiera.
Altro elemento di grande importanza è l’elevata flessibilità del mercato del lavoro, che contrasta con la rigidità dei mercati del lavoro di altri paesi europei. Quando alla fine del 2008 la crisi economica metteva alle corde l’intera Europa, i paesi periferici hanno cominciato a distruggere occupazione. Gli aggiustamenti al mercato occupazionale in Spagna e Italia hanno seguito, nel primo caso, la via della distruzione di posti di lavoro e la conseguente impennata della disoccupazione, e nel secondo caso quella del ricorso massiccio agli ammortizzatori sociali. Al contrario, in Germania sono stati conservati i posti di lavoro e, in cambio, è stata accettata una riduzione dell’orario di lavoro. Quando la recessione si è fatta meno pesante, le imprese contavano con le risorse umane intatte e hanno semplicemente riportato sui livelli pre crisi il numero di ore di lavoro.
Alla base del successo tedesco c’è anche la perfetta simbiosi tra formazione e mondo delle imprese. Il ricorso a contratti di apprendistato ha realmente svolto il ruolo di canale introduttivo dei giovani nel mondo del lavoro. Quando i giovani sono integrati a pieno titolo, sono coinvolti nel sistema premiante secondo le capacità e l’impegno profuso. Questo sistema consente alla Germania di ridurre il gap esistente tra lavoro temporaneo o poco qualificato e quello a tempo indeterminato.
Pertanto, è possibile affermare che l’elemento fondamentale, quello che marca la differenza con i paesi periferici dell’eurozona, è
l’incremento costante della produttività, accompagnato da un elevato livello di flessibilità della contrattazione. Si tratta di differenze sottolineate dagli esperti già da molti anni, ma ignorate da governi, sindacati e organizzazioni delle imprese.
 



 

martedì 16 ottobre 2012

Negli Usa torna l'ombra dei mutui subprime. L'Europa corre altri rischi?

Negli Stati Uniti il mercato immobiliare sta dando segnali di risveglio. Lo indica l'indice case-Shiller , che misura l'andamento dei prezzi nelle più importanti 20 città statunitensi, che negli ultimi mesi ha invertito la rotta. E lo indicano anche i conti di Jp Morgan e Wells Fargo, due istituti che in questo momento - secondo quanto pubblica il Wall Street Journal - hanno in mano il 44% dei mutui Usa. Gli ultimi conti evidenziano un aumento dei margini dovuto proprio alla grande crescita dei rifinanziamenti.
In pratica ci sono molti mutuatari che stanno rinegoziando il contratto, magari chiedendo anche ulteriore liquidità. Questo perché i tassi sono praticamente azzerati (la Federal Reserve ha detto che li manterrà nel range 0-0.25% almeno fino al 2014). E, soprattutto, perché le banche sono adesso maggiormente disposte ad erogare rispetto a qualche trimestre fa, quando il conto della bolla subprime si faceva ancora sentire.
Nel frattempo qualcosa è cambiato. La Fed ha annunciato a fine settembre che stamperà a tempo indefinito (fino a quando le condizioni di mercato lo richiederanno) moneta per 40 miliardi di dollari al mese attraverso la quale acquisterà mutui-bond delle banche.
Per mutui-bond si intendono cartolarizzazioni di mutui, ovvero contratti di mutui trasformati in contratti derivati. In pratica il credito che una banca vanta su un mutuo viene trasformato in un altro contratto che può a sua volta essere ceduto a terze parti (in modo tale che, anche se spesso il mutuatario non lo sa, questi pagherà il mutuo realmente non più alla banca che glielo ha concesso ma al nuovo creditore).
In pratica la Fed comprerà mutui cartolarizzati dalle banche per quantità indefinite. L'obiettivo è di spingere nuovamente le banche ed erogare e le famiglie a comprare immobili attraverso i finanziamenti.
Il neo di questa vicenda è che le banche (che guardano i profitti immediati) sono incentivate a fare più contratti possibili (visto che hanno la protezione della Fed) e quindi in questo momento starebbero, secondo quanto risulta al Sole 24 Ore, rispingendo nuovamente il tasto subprime. Ovvero starebbero concedendo prestiti anche a categorie meno abbienti. Soggetti che, in caso di aumento dei tassi, molto probabilmente non saranno in grado di rimborsare il mutuo e perderanno la casa.
Una storia già vista, a partire dal 2007 quando appunto è esplosa la prima bolla subprime (figlia di prestiti facili concessi dal 2000 al 2003 e del crac dovuto al rialzo dei tassi operato dalla Federal Reserve tra il 2004 a il 2006 per raffreddare un'economia in forte espansione).
La differenza di quella che si appresta a diventare a tuti gli effetti la bolla subprime 2.0 è che in questo caso i contratti derivati li sta comprando la Fed mentre nel primo caso sono finiti anche nei portafogli delle banche europee, costrette poi a chiedere il salvataggio statale, con alcuni Paesi dell'Eurozona costretti a ruota a chiedere il salvataggio sovranazionale della Troika (Ue-Bce-Fmi).
Allo stesso tempo pare paradossale che le autorità non impediscano ma anzi alimentano (seppur indirettamente) erogazioni subprime. Le stesse che hanno costretto migliaia di americani a perdere la casa, semplicemente perché hanno abboccato all'esca lanciata dall'allora presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, e dal suo slogan "la tua casa è la tua banca".

domenica 30 settembre 2012

Il vero problema dell’economia italiana

 

22/09/2012 - Secondo il Wall Street Journal solo la ripresa del settore terziario potrà mettere in ordine i conti del nostro paese

Il vero problema dell'economia italiana




 


Il vero problema dell’economia italiana? E’ il terziario. Il settore dei servizi non riesce a riprendersi dopo la crisi, determinando le difficoltà complessive dell’economia del nostro paese, e la conseguente sofferenza dei nostri conti pubblici.
TERZIARIO IN CRISI - Il Wall Street Journal dedica un’analisi ai problemi economici dell’Italia, la terza economia dell’eurozona e il più grande dei paesi in crisi da debito sovrano. Dopo l’intervento della Bce lo spread è diminuito ed il governo Monti ha ripreso a respirare, ma le difficoltà del nostro paese non sono affatto risolte. Il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, rimarca al Wall Street Journal come nonostante quattro trimestri in recessione il settore industriale abbia retto la crisi. “Molte fabbriche hanno già raggiunto i livelli di produzione dell’anno precedente. Anche gli ordini di acquisto stanno crescendo, un segnale di rafforzamento produttivo.” L’industria però rappresenta solo un sesto dell’economia italiana. “Il settore dei trasporti, delle comunicazioni, del turismo, della vendita al dettaglio e dei servizi sociali stanno trascinando verso il basso il resto del paese. Sono questi i settori dove l’Italia è indietro rispetto ai partner europei”.
CORREZIONE DEL GOVERNO - Dopo mesi di attesa l’esecutivo tecnico di Mario Monti ha finalmente rivisto le previsioni di crescita del nostro paese. Nel 2012 il Pil italiano calerà di 2,4 punti, mentre per l’anno prossimo è prevista una diminuzione dello 0,2. Una valutazione ottimistica, visto che più di un’analista stima come più probabile un ulteriore calo della ricchezza nazionale poco sotto l’1%. Il rigore è stato difeso dal ministro del Tesoro e dell’Economia Vittorio Grilli, che ha ribadito come l’intenzione del governo sia evitare ulteriore indebitamento per l’anno prossimo. ” Il governo italiano ha corretto i conti pubblici alzando le tasse e spostando verso l’alto l’età pensionabile. Ora però bisogna far ripartire il settore dei servizi, altrimenti senza crescita i conti non saranno mai messi in ordine”.
PROBLEMA STORICO – Nell’analisi del Wall Street Journal si rimarca come il problema del terziario italiano sia iniziato molto prima della crisi finanziaria del 2008. In questo settore mancano sia capitale umano che investimenti. L’Italia è l’ultimo paese europeo per l’ aumento di produttività fornito dal settore informatico all’intero sistema economico. Questo ha provato che la crescita dell’efficienza dell’economia italiana sia stata tra il 1995 ed il 2004 di solo mezzo punto, mentre la Finlandia è cresciuta di 3 punti e mezzo. Secondo uno studio della Banca europea degli investimenti il grosso freno alla crescita italiana è costituito dalla scarsa innovazione e dall’assente aumento di produttività nei settori del turismo e della vendita al dettaglio. “La fiducia ed il dinamismo delle imprese sono un presupposto essenziale per la ripresa dell’economia. Faccio un esempio: a Roma si stanno diffondendo i mercatini delle pulce. Un segnale di quanto si sentano in difficoltà i consumatori. Le persone si sentono sempre più insicure, e preferiscono vendere i loro oggetti. ” Una dinamica che potrebbe avere un’influenza molto pesante sullo sviluppo economico dei prossimi anni.
SFIDA FUTURA - Fino ad ora le misure pro crescita del governo Monti sono state piuttosto blande, rimarca il Wall Street Journal. Il mercato del lavoro è stato reso meno rigido con la riforma Fornero, mentre l’esecutivo sta pensando ad agevolazioni fiscali per nuovi progetti infrastrutturali, in modo da stimolare la crescita. Secondo Giovannini queste iniziative sono ragionevoli. Per il presidente dell’Istat però è essenziale investire nella formazione, educazione superiore od universitaria e continuo aggiornamento durante la professione. “Il capitale non dovrebbe andare solo negli impianti industriali o nella costruzione della case. ” I tassi di interesse nell’ultimo decennio si sono ridotti significativamente grazie all’euro, favorendo così il credito alle aziende. Ma le imprese hanno preferito assumente persone con contratti a basso costo invece che concentrarsi sugli investimenti. Questi nuovi posti di lavoro così malpagati non hanno però dato un contributo significativo alla ricchezza nazionale, e sono subito scomparsi quando è arrivata la crisi. Per Giovannini la vera soluzione sono gli investimenti per risollevare il settore dei servizi, rafforzando sopratutto il capitale umano che ora manco. “La formazione è la scommessa che l’Italia deve vincere per poter ripartire”.




 

mercoledì 15 agosto 2012

Rischio d'impresa

"Esempio di ditta individuale con un unico dipendente. Nel caso della ricerca della Cgia di Mestre si trattava nello specifico di un installatore di impianti che lavora in proprio. Su un reddito annuo di 29.321 euro il totale versato in tasse ammonta a 15.849 euro. Le voci nel dettaglio prevedono:
contributi previdenziali 5.845
IRPEF 5.135
addizionali IRPEF 364
IRAP 1.334
IMU 1378
INAIL 482
CCIAA 88
bollo furgone 146
imposta / tariffa sulla PUBBLICITA' 81
TASSA / TARIFFA rifiuti 997
a queste si devono aggiungere l'Iva che devi pagare in anticipo anche se non la incassi! ...anche l'irpef e addizionali li paghi in anticipo! e se non rispetti gli studi di settore ti arriva un accertamento "induttivo" e sta a te dimostrare che hai ragione! Fare gli imprenditori in Italia è molto rischioso!". Roberto B.

venerdì 3 agosto 2012

Se Draghi salva l’euro, firma la nostra condanna

Colpo di scena: la Bce potrebbe improvvisamente finanziare il Mes, il dispositivo salva-Stati creato a Bruxelles, per sostenere all’infinito i debiti sovrani ed evitare il collasso dell’euro, cioè la gallina delle uova d’oro per la grande finanza tedesca e francese. La notizia ha cominciato a circolare dal 26 luglio: a Londra, Mario Draghi ha annunciato che la banca centrale europea aprirà i rubinetti. E il governatore della banca centrale austriaca, Ewald Nowotny, già da giorni aveva dichiarato che si sta discutendo se dare una vera e propria licenza bancaria al Mes, il Fondo salva-Stati destinato a vincolare per sempre la finanza pubblica dell’Eurozona al regime non democratico instaurato dall’oligarchia tecnocratica di Bruxelles, padrona assoluta dell’economia europea che agonizza in piena crisi, mentre volano i profitti stellari della maxi-speculazione delle banche d’affari.
Paolo Barnard «Urlai che Mario Draghi era un golpista perché aveva omesso scientemente di usare i poteri della Bce di calmare la speculazione contro titoli di Stato italiani, comprandoli in massa», ricorda Paolo Barnard, evocando la sua celebre apparizione del 15 novembre 2011 al programma “Matrix”, su Canale 5. «Era la speculazione che pochi giorni prima aveva rovesciato il governo e instaurato la dittatura finanziaria della Troika e di Monti: se si comprano grandi quantità di titoli i tassi crollano, l’Italia non sarebbe arrivata sull’orlo del default in quei giorni, e Monti non sarebbe neppure stato citato». Nell’info-talk televisivo, a Barnard fu risposto con sufficienza che Draghi non avrebbe potuto, che la Bce non può mai comprare titoli di Stato per aiutare i governi. «Risposi che era una menzogna,  osserva Barnard nel suo blog  e citai il programma Smp Bonds Purchases della Bce che dà ad essa potere di acquistare titoli». Draghi però non lo fece, e così «condannò l’Italia a cadere nelle mani del criminale Monti».
DraghiPer Barnard, Draghi è «un’oscenità vivente», perché «oggi si ricorda di colpo che quel programma Smp dopotutto c’è e lo userà, eccome: ma non per salvare la democrazia di un paese, bensì per assicurarsi che essa venga del tutto annientata». L’ex giornalista di “Report” non ha dubbi: «Adesso siamo veramente fottuti». Cos’è accaduto? Presto detto: i “mercati” continuano a sfiduciare l’Italia «solo perché abbiamo perso la capacità di emettere la nostra moneta sovrana». Gli “investitori” sanno cioè che, con l’euro, «non possiamo ripagare sempre e puntuali il nostro debito», dato che la moneta comune europea non è liberamente emessa dall’Italia, che la deve prendere in prestito dalle banche. Di qui il timore che l’Italia faccia default sui pagamenti: «Dunque ci sfiduciano in una spirale verso il basso man mano che ci indebitiamo, ma è proprio questa spirale che ci porta al default sta  portando l’Italia e la Spagna al default entro pochi giorni o settimane».
Sarebbe stata la fine dell’Eurozona, in una implosione epocale e mai così devastante nella storia, ma attenzione: «Devastante per Francia e Germania, non per noi». Ecco il punto: «Mario Draghi sa questo, e non può fare altro se non eseguire gli ordini di Angela Merkel e di François Hollande: salva l’euro a qualsiasi costo». L’ex signor-no di Francoforte di punto in bianco “riscopre” il programma Smp Bonds Purchases della Bce, che dà alla banca centrale europea il potere decisivo di acquistare i titoli di Stato dei paesi nei guai. Questa è la verità che si nasconde dietro quel «cavillo legal-semantico» a cui Draghi ricorre per giustificare ciò che solo 8 mesi fa era “da escludersi”. E attenzione: i “mercati” non si sarebbero mai placati, oggi, se non sapessero che la Bce è l’emissore sovrano dell’euro, e quindi può in effetti comprare titoli quasi all’infinito. Solo grazie a questa garanzia, i “mercati” si calmeranno.
Merkel e HollandeLa chiave di volta? L’ipotesi che la Bce si decida davvero a finanziare il Mes, il Meccanismo Europeo di Stabilità, che attualmente non dispone di molto denaro: «Pensate che un salvataggio dell’Italia azzererebbe le casse del Mes in meno di 3 mesi», puntualizza Barnard. E allora cosa fanno trapelare i banchieri centrali della Ue? Che il Mes potrebbe essere trasformato in banca. E cosa significa? «In breve: che se diventa banca, avrà il sostegno illimitato dei finanziamenti della Bce, che è l’emissore illimitato degli euro, e quindi il Mes potrà comprare enormi quantità di titoli di Stato dei Paesi come il nostro, di fatto garantendo ai “mercati” che, di nuovo, esiste un pagatore dei loro crediti (i titoli nostri e spagnoli) senza limiti. Il trucco è fatto. I mercati si calmano». Buone notizie? Al contrario, per Barnard sarà la catastrofe definitiva: «Significa che Italia, Spagna e Grecia staranno dentro l’Eurozona, perché con i “mercati” calmi, e coi tassi sui titoli che scendono dal 7% al 4%, il default è scongiurato». L’euro sopravvive, e con esso la “dittatura finanziaria” che comporta, con l’eclissi totale della nostra sovranità: «Come dire: il fiume sarebbe straripato e avrebbe allagato la galera permettendo ai prigionieri politici asserragliati sul tetto e stremati di fame e sete di nuotare verso la libertà. Ma no. Hanno arginato il fiume apposta».
Per Barnard, il salvataggio artificiale dell’euro, ottenuto ad ogni costo, «significa che ci terranno dentro la macchina dell’economicidio della nostra terra, bloccati in un limbo infame dove da una parte non cresceremo mai perché sempre privi di moneta sovrana, sempre schiavi di tecnocrati non eletti, sempre comunque ricattati dal fatto che ogni centesimo per l’Italia va preso in prestito dalle banche speculative, e dall’altra proprio questa perenne e cementata precarietà e impoverimento saranno la scusa per imporci le “austerità” a stipendi, pensioni e servizi che ammazzano le imprese», senza contare «le privatizzazioni selvagge di ogni bene e servizio pubblico residuo». Tutto questo, «per impedirci di respirare nella crescita, e dunque di agire la democrazia». E quindi, testualmente: «Siamo nella merda, non ci sono altre parole, davvero. Se Draghi apre i rubinetti del programma Smp Bonds Purchases e se il Mes diventa banca è finita, è finita per i vostri figli, è finita per tutto ciò che conoscemmo come Stato. E’ finita per l’Italia». Speranze che il meccanismo si inceppi? Forse la Corte Costituzionale tedesca potrebbe bocciare il Mes a settembre, ma «è come sperare che il killer che ti deve ammazzare venga colto da ictus mentre aziona il grilletto

Macché debito, è la finanza-ombra che ha rapinato lo Stato

Il 20 luglio la Camera ha approvato il “Patto fiscale”, trattato Ue che impone di ridurre il debito pubblico al 60% del Pil in vent’anni. Comporterà per l’Italia una riduzione del debito di una cinquantina di miliardi l’anno, dal 2013 al 2032. Una cifra mostruosa che lascia aperte due sole possibilità: o il patto non viene rispettato, o condanna il Paese a una generazione di povertà. Approvando senza un minimo di discussione il testo, la maggioranza parlamentare ha però fatto anche di peggio. Ha impresso il sigillo della massima istituzione della democrazia a una interpretazione del tutto errata della crisi iniziata nel 2007, quella della vulgata che vede le sue cause nell’eccesso di spesa dello Stato, soprattutto della spesa sociale. In realtà le cause della crisi sono da ricercarsi nel sistema finanziario, cosa di cui nessuno dubitava sino agli inizi del 2010.

Da quel momento in poi ha avuto inizio l’operazione che un analista tedesco ha definito il più grande successo di relazioni pubbliche di tutti i tempi: la crisi nata dalle banche è stata mascherata da crisi del debito pubblico. In sintesi la crisi è nata dal fatto che le banche Ue (come si continuano a chiamare, benché molte siano conglomerati finanziari formati da centinaia di società, tra le quali vi sono anche delle banche) sono gravate da una montagna di debiti e di crediti, di cui nessuno riesce a stabilire l’esatto ammontare né il rischio di insolvenza. Ciò avviene perché al pari delle consorelle Usa esse hanno creato, con l’aiuto dei governi e della legislazione, una gigantesca finanza ombra”, un sistema finanziario parallelo i cui attivi e passivi non sono registrati in bilancio, per cui nessuno riesce a capire dove esattamente siano collocati né a misurarne il valore.

La finanza ombra” è formata da varie entità che operano come banche senza esserlo. Molti sono fondi: monetari, speculativi, di investimento, immobiliari. Il maggior pilastro di essa sono però le società di scopo create dalle banche stesse, chiamate veicoli di investimento strutturato (acronimo Siv) o veicoli per scopi speciali (Spv) e simili. Il nome di veicoli è quanto mai appropriato, perché essi servono anzitutto a trasportare fuori bilancio i crediti concessi da una banca, in modo che essa possa immediatamente concederne altri per ricavarne un utile. Infatti, quando una banca concede un prestito, deve versare una quota a titolo di riserva alla banca centrale (la Bce per i paesi Ue). Accade però che se continua a concedere prestiti, ad un certo punto le mancano i capitali da versare come riserva. Ecco allora la grande trovata: i crediti vengono trasformati in un titolo commerciale, venduti in tale forma a un Siv creato dalla stessa banca, e tolti dal bilancio. Con ciò la banca può ricominciare a concedere, invece di aspettare anni come avviene ad esempio con un mutuo.

Mediante tale dispositivo, riprodotto in centinaia di esemplari dalle maggiori banche Usa e Ue, spesso collocati in paradisi fiscali, esse hanno concesso a famiglie, imprese ed enti finanziari trilioni di dollari e di euro che le loro riserve, o il loro capitale proprio, non avrebbero mai permesso loro di concedere. Creando così rischi gravi per l’intero sistema finanziario. I Siv o Spv presentano infatti vari inconvenienti. Anzitutto, mentre gestiscono decine di miliardi, comprando crediti dalle banche e rivendendoli in forma strutturata a investitori istituzionali, hanno una consistenza economica ed organizzativa irrisoria. Come notavano già nel 2006 due economisti americani, G. B. Gorton e N. S. Souleles, «i Spv sono essenzialmente società robot che non hanno dipendenti, non prendono decisioni economiche di rilievo, né hanno una collocazione fisica».

Uno dei casi esemplari citati nella letteratura sulla finanza ombra” è il Rhineland Funding, un Spv creato dalla banca tedesca Ikb, che nel 2007 aveva un capitale proprio di 500 (cinquecento) dollari e gestiva un portafoglio di crediti cartolarizzati di 13 miliardi di euro. L’esilità strutturale dei Siv o Spv comporta che la separazione categorica tra responsabilità della banca sponsor, che dovrebbe essere totale, sia in realtà insostenibile. A ciò si aggiunge il problema della disparità dei periodi di scadenza dei titoli comprati dalla banca sponsor e di quelli emessi dal veicolo per finanziare l’acquisto. Se i primi, per dire, hanno una scadenza media di 5 anni, ed i secondi una di 60 giorni, il veicolo interessato deve infallibilmente rinnovare i prestiti contratti, cioè i titoli emessi, per trenta volte di seguito. In gran numero di casi, dal 2007 in poi, tale acrobazia non è riuscita, ed i debiti di miliardi dei Siv sono risaliti con estrema rapidità alle banche sponsor.

La finanza ombra” è stata una delle cause determinanti della crisi finanziaria esplosa nel 2007. In Usa essa è discussa e studiata fin dall’estate di quell’anno. Nella Ue sembrano essersi svegliati pochi mesi fa. Un rapporto del Financial Stability Board dell’ottobre 2011 stimava la sua consistenza nel 2010 in 60 trilioni di dollari, di cui circa 25 in Usa e altrettanti in cinque paesi europei: Francia, Germania, Italia, Olanda e Spagna. La cifra si suppone corrisponda alla metà di tutti gli attivi dell’eurozona. Il rapporto, arditamente, raccomandava di mappare i differenti tipi di intermediari finanziari che non sono banche. Un green paper della Commissione europea del marzo 2012 precisa che si stanno esaminando regole di consolidamento delle entità della finanza ombra” in modo da assoggettarle alle regole dell’accordo interbancario Basilea 3 (portare in bilancio i capitali delle banche che ora non vi figurano). A metà giugno il ministro italiano dell’Economia – cioè Mario Monti – commentava il green paper: «È importante condurre una riflessione sugli effetti generali dei vari tipi di regolazione attraverso settori e mercati e delle loro potenziali conseguenze inattese».

Sono passati cinque anni dallo scoppio della crisi. Nella sua genesi le banche europee hanno avuto un ruolo di primissimo piano a causa delle acrobazie finanziarie in cui si sono impegnate, emulando e in certi casi superando quelle americane. Ogni tanto qualche acrobata cade rovinosamente a terra; tra gli ultimi, come noto, vi sono state grandi banche spagnole. Frattanto in pochi mesi i governi europei hanno tagliato pensioni, salari, fondi per l’istruzione e la sanità, personale della Pa, adducendo a motivo l’inaridimento dei bilanci pubblici. Che è reale, ma è dovuto principalmente ai 4 trilioni di euro spesi o impegnati nella Ue al fine di salvare gli enti finanziari: parola di José Manuel Barroso. Per contro, in tema di riforma del sistema finanziario essi si limitano a raccomandare, esaminare e riflettere. Tra l’errore della diagnosi, i rimedi peggiori del male e l’inanità della politica, l’uscita dalla crisi rimane lontana.

(Luciano Gallino, “La lettura sbagliata della crisi”, da “La Repubblica” del 30 luglio 2012, ripreso da “Micromega”).

lunedì 30 luglio 2012

Investire in Europa: una lezione dal Giappone

Il Giappone è stato il primo paese a essere colpito dall’effetto combinato di invecchiamento della popolazione, diminuzione di valore degli asset, settore bancario in difficoltà e una sequenza di risposte politiche poco efficaci.
Vi ricorda qualcosa la situazione nipponica? Dovrebbe, dato che molte di queste situazioni sono oggi riscontrabili in Europa. Perché non imparare dall’esperienza giapponese?
Anche qua, possiamo imparare dal Giappone, dove gli investitori hanno dovuto confrontarsi con tassi estremamente bassi e rapidi cicli economici sin dagli anni novanta. Guardando all’esperienza nipponica, quindi, bisognerebbe focalizzare gli investimenti su:
- società con un orientamento internazionale, piuttosto che con un approccio domestico
- società con una buona crescita dei dividendi, piuttosto che quelle con elevato dividendo
- società con un modello di business difensivo, piuttosto che quelle cicliche.
Società che presentano queste caratteristiche hanno generalmente performato meglio del mercato nel lungo periodo, sebbene soffrano nelle fasi dove il mercato beneficia della spinta dovuta alle misure straordinarie di stimolo. In conclusione, siamo entrati in una fase potenzialmente di lungo periodo dove gli investitori europei dovranno confrontarsi con bassi tassi, cicli di breve durata e ritorni esigui. I giapponesi hanno già vissuto questa situazione per almeno due decenni. Perché non imparare qualcosa da loro?

sabato 28 luglio 2012

Concorrenza sleale

la sola liberalizzazione finanziaria e monetaria ha dimostrato di essere letale. Quando i paesi membri entrarono nell’Euro, nel 1999, fissarono i tassi di cambio relativi: le economie del nord, come la Germania, aderirono con un tasso di cambio molto più basso di quello dell’Europa meridionale. Risultato: enormi squilibri a vantaggio dell’esportazione tedesca e maxi-deficit per il Sud, che il sistema finanziario europeo ha liberalizzato ha riciclato come debiti.

Questa instabile combinazione ha retto per un decennio, ma è andata in frantumi in seguito alla crisi, tutta finanziaria, del 2008: le banche europee gravate da titoli-spazzatura sono state “salvate”, ma intanto la recessione ha ridotto le entrate fiscali e gonfiato la spesa pubblica. «Questa combinazione ha fatto sì che i debiti e i deficit pubblici aumentassero a dismisura: accoppiato ai deficit nella bilancia dei pagamenti, ciò ha comportato l’impossibilità per i Piigs di far fronte alle spese». È stata quindi la crisi finanziaria, e non l’eccessiva spesa pubblica, a creare la crisi dei debiti sovrani. «La Grecia, ad esempio, in percentuale rispetto al Pil, spende meno di quanto non facciano sia Germania che Francia». A condurre i Piigs verso il default «sono stati salvataggi e recessione», non certo la loro «dissolutezza». E per Atene, la bancarotta è ormai una certezza assoluta: «Con i soli interessi che l’anno prossimo rappresenteranno il 15% del Pil, la Grecia non ha alternative al default. Il debito è inesigibile».

Finora l’Europa ha risposto con l’offerta di aiuto agli Stati in difficoltà attraverso l’acquisto da parte della Bce di titoli del debito pubblico ad alto rischio. Obiettivo dei salvataggi: assicurare che il flusso del pagamento degli interessi rimanesse costante, anche a costo di costringere le popolazioni a tagli sul welfare sempre più severi. Peccato però, che la politica di austerità finisca per danneggiare ulteriormente l’economia reale, come ben sanno le vittime della politica europea, da Dublino ad Atene. Il rigore «privilegia gli asset finanziari, fabbricando i rimborsi del debito, anziché provvedere all’occupazione». Ben consapevoli del problema, «gli eterogenei governanti d’Europa non sono stati capaci, o non hanno voluto, trovare un accordo su niente: a questo dobbiamo il fatto che ora la crisi sia così rovinosa».

Lo shock finanziario del 2008, è stato trasformato in una crisi dei debiti sovrani, che si sta a sua volta ripercuotendo sul sistema finanziario: «Il default del debito sovrano minaccia di causare il collasso finanziario, ormai inevitabile». Eppure, l’Europa va elaborando una nuova versione dello stesso rimedio, già rivelatosi fallimentare: il Fondo Europeo di Stabilità, cassaforte da 400 miliardi creata per sostenere i Piigs, è stata ora gonfiata fino a 2.000 miliardi, sperando di «calmare il panico sui mercati mentre si negozia il taglio del debito pubblico greco cioè ristrutturarlo in modo da disinnescare la crisi». Ma, difficilmente il piano funzionerà: non c’è la garanzia che disposizione, il rigore deprimerà ulteriormente economie e società, mentre l’effetto a catena del default greco renderebbe insufficienti anche quei 2.000 miliardi. Unica soluzione: controllare i flussi di capitale e cancellare la politica di austerità che finirà per portare al collasso le società europee, dalla Grecia in su.

TSE

mercoledì 25 luglio 2012

BOLLA U.S.A




LA PRIMA BOLLA STATUNITENSE SI VERIFICO NELL ANNO 1929 CREATASI PER AVER DATO FIDUCIA AI PRESTITI ACCESI CON CREDITI DELLE PICCOLE BANCHE. CON L’ELEZIONE DI ROSVEELD NEL 1930 SI ATTUO UNA POLITICA DI RISANAMENTO CON I VARI INTERVENTI STATALI LA
NEW DEEL, ALL’ATTUALE SITUAZIONE DI CRISI, IL GOVERNO FECE PRESENTE AI DEBITORI, QUALI PAESI DELL’EUROPA, DI VOLER RIENTRARE DEI PRESTITI ELARGITI DURANTE LA 1° GUERRA MONDIALE PER ACQUISTI DI MATERIALE ED ARMAMENTO BELLICO.

IL PRESIDENTE ROSVEELD EBBE FIDUCIA DEL PAESE, PER POTER CONTINUARE A GOVERNARE, VISTO CHE LA SUA POLITICA FU EFFICACE AD RAGGIRARE IN PARTE LA CRISI.

Nel 2008 quello che è successo nella macroeconomia americana, anche con l
apporto incontrastato di una globalizzazione in genere liberista economica, nell’interesse di dare una lubrificata alleconomia nazionale da la possibilità a tutti coloro che ne avessero l’intenzione di indebitarsi, comprando una casa, in un mercato fiorente in una politica di adeguamento e libertà sociale, con finanziamenti al 100% a persone che risultavano sotto il livello minimo ( subprime ) e che a distanza di poco tempo con l‘andamento del mercato immobiliare americano le case si sarebbero rivalutate del 30% quindi se compravi una casa da 100.000 doll. a distanza ne valeva 130.000 doll. (con rate inizialmente basse e poi via via incominciano ad aumentare) Cosi comincia questa catastrofe di indebitamento delle famiglie, con tassi d’interessi molto bassi quasi ad 1%,. La banca che erogava il prestito tramite l’ufficio finanziamenti che applicavano il benestare del finanziamento, riscuotevano un interesse per ogni apertura di credito, cosi nel momento in cui il tutto andava in porto, attivavano il trucco ( chiamiamolo con un eufenismo leggero ) una manomissione sulle regole del prestito dalla feed Reevers e sulla vigilanza che ne determina il massimo dei prestiti erogabili in funzione dei depositi alla fine di non ottemperare alla soglia prestabilita del credito al consumo, con una strategica titolarizzazzione del patrimonio portano fuori dal bilancio tutti debiti in esubero,in parole povere falsificavano i bilanci societari cosi potevano nuovamente prestare denaro. Ma a distanza di un anno i prezzi delle case cominciano a scendere, quindi si ci trova a pagare una casa deprezzata dal mercato immobiliare e cosi partono le insolvenze dei mutui subsprise, cioè quei prestiti a rischio, e incomincia l’effetto domino bancario assicurativo ecc. Quindi la banca cartoralizza i mutui in meccanismi chiamati CDO derivati obbligazioni bancarie, esse vengono vendute ad altre banche, che nel frattempo li metteva a disposizione dei risparmiatori nella forma usuale, quale investimento fondi, polizze, fondi di fondi e quindi immesse nel mercato finanziario, come strumenti finanziari, ma siccome sono titoli insolventi legati ai mutui subprime questi non vengono rimborsati per insolvenza dagl’immobili legati alle ipoteche. Chi ha acquistato quei bond titoli tossici finisce in default anche se le agenzie di raeting essendo a conoscenza di quello che stava accadendo avevano espresso titolo favorevole sui quei titoli essendo stati cartoralizzati. Nel momento dei rimborsi si incomincia a trasparire l’effetto domino, le banche perdono la fiducia tra loro e quelle più esposte ne pagano le conseguenze ( fallimento per mancanza di liquidità ) Nel demerito di busch, accade che i risparmiatori colpiti da questa ondata di titoli tossici, non ha fatto nulla in loro riguardo, non ha messo a loro disposizione i diritti degli ammortizzatori sociali, quali il congelamenti dei propri mutui per quel periodo, in questo modo non a fatto altro che queste persone non hanno potuto fare altro che chiedere la banca rotta.

domenica 22 luglio 2012

Un economista «si vergogna» di aver lavorato per l’FMI

Peter Doyle se ne è andato dopo 20 anni, con una durissima lettera di dimissioni in cui se la prende con la dirigenza e con Lagarde
Peter Doyle, un economista che ha lavorato per vent’anni al Fondo Monetario Internazionale (FMI), si è dimesso con una lettera in cui ha detto di “vergognarsi di aver lavorato per l’FMI”. Secondo Doyle il Fondo ha fallito perché ha tardato a comunicare i primi segni della crisi dell’Euro. La “criticità” dei “lunghi processi decisionali europei” era stata compresa molto in anticipo, scrive Doyle, ma successivamente mai comunicata.
Dopo alcuni ringraziamenti, la lettera apre la parte in cui spiega le motivazioni del proprio gesto in modo molto duro:
Dopo vent’anni di servizio, mi vergogno di aver avuto qualsiasi rapporto con il Fondo. Questo non solo per l’incompetenza che è stata parzialmente raccontata dal rapporto dell’OIA sulla crisi globale e dal rapporto del TSR sul monitoraggio prima della crisi dell’euro. Ancora di più, mi vergogno perché le difficoltà sostanziali in queste crisi, come in altre, sono state individuate ben in anticipo, ma qui sono state nascoste.
Doyle è stato consigliere del Dipartimento europeo del Fondo, quello che si sta occupando dei piani di salvataggio di Grecia, Portogallo e Irlanda. Le sue dimissioni risalgono a un mese fa, ma le sue motivazioni e la sua dura critica all’intera struttura sono state rese pubbliche solo ieri, dopo che la CNN è entrata in possesso della lettera (datata 18 giugno). Secondo quanto ha scritto il Wall Street Journal, Doyle è stato capo divisione nell’organizzazione finanziaria, responsabile per i paesi non in stato di crisi, ma ha cambiato mansione dopo la nomina di un nuovo direttore della sezione europea, che ha ristrutturato il dipartimento. Il WSJ aggiunge che oggi Doyle è ancora un consulente del Fondo, che dovrebbe lasciare ufficialmente il prossimo autunno.
Il Fondo Monetario Internazionale è una delle grandi organizzazioni internazionali che furono create nel 1944 con il trattato di Bretton Woods (un accordo per mettere ordine nell’economia e nella finanza mondiale dopo la Seconda Guerra Mondiale). Lo scopo dell’FMI era, ed è tutt’ora, quello di intervenire finanziando i paesi con difficoltà di bilancio (come Grecia, Irlanda e Portogallo). L’altra grande organizzazione creata fu la Banca Mondiale che invece si occupava di finanziare investimenti nei paesi in via di sviluppo.
Il denaro che usano queste due organizzazioni viene versato dai vari stati. Come in una società per azioni, chi versa di più ha più “voti” quando si deve nominare la dirigenza. Attualmente gli stati dell’Europa occidentale e gli Stati Uniti detengono il controllo di entrambe le organizzazioni. Tradizionalmente il direttore dell’FMI è europeo mentre quello della Banca Mondiale è statunitense.
Su questo aspetto si concentrano le critiche più dure di Doyle. Negli ultimi dieci anni, scrive, le nomine dei direttori del fondo sono state “disastrose”. Questo a causa della bilateralità (cioé l’accordo Usa-Europa) che esclude tutti gli altri paesi. Anche l’attuale direttrice, Christine Lagarde, scrive Doyle senza nominarla, è “contaminata”, perché “né il suo sesso, né la sua integrità, né il suo slancio” possono cambiare la “fondamentale illegittimità della sua nomina”, cioè il fatto che sia stata nominata da Stati Uniti ed Europa senza consultare gli altri paesi.
foto: Alex Wong/Getty Images

domenica 10 giugno 2012

Craxi accusa Napolitano di aver taciuto sul finanziamento illegale del PCI



Durante il processo Cusani, Bettino Craxi accusa l'allora Presidente della Camera Giorgio Napolitano di aver taciuto sul finanziamento illegale dell'Unione Sovietica verso il PCI.

domenica 27 maggio 2012

Un'idea diversa



Maurizio Landini parla chiaro: l'Italia ha una precarietà altissima ed investimenti molto bassi. Inoltre non ha materie prime. Cosa succederà in un mercato in cui ha vinto la finanza e non si è costruito nulla? E adesso, con un livello di corruzione senza precedenti, si attacca l'art. 18.

L'Alba Dorata della Grecia



Alle ultime elezioni politiche in Grecia il partito di estrema destra "Alba Dorata" ha raccolto un grande consenso popolare, raggiungendo il 7% dei voti. Quali sono i punti del loro programma? Il leader del movimento, Theodoros Koudounas, lo racconta a Giulia Innocenzi.

lunedì 21 maggio 2012

NASDAQ

Il termine sta per National association of security dealers active quotation. E' il famoso mercato americano in cui sono quotate le società tecnologiche come Google, Yahoo, Microsoft ecc. E' il nuovo mercato che si è affiancato a quello classico, rappresentato dalla NYSE , la Borsa di New York. L'andamento del Nasdaq è caratterizzato da una grande volatilità cioè da rialzi e cadute notevoli.

INTERVENTO SHOCK DI MONTI



Figlio del gruppo bildberg.

CENSURATO DA TUTTE LE TV ITALIANE ! CONDIVIDERE è UN DOVERE!

sabato 19 maggio 2012

I Pigs non allettano la Norvegia

Durante il primo trimestre del 2012, il Fondo sovrano scandinavo ha venduto tutti i titoli di debito portoghesi e irlandesi ospitati nel suo portafoglio. Preferiti i Treasury e i bond emessi da alcuni paesi emergenti

Il Brasile domina la scena


Nella classifica stilata annualmente da Forbes per mettere in fila le duemila aziende più importanti in base ai dati relativi a vendite, utili, assets e capitalizzazione di Borsa, trovano posto trentatré società brasiliane, sedici messicane, nove cilene, sei colombiane, due argentine, due peruviane, una venezuelana e una panamense. In testa alla classifica delle aziende latinoamericane irrompe una società mista (a capitale privato e pubblico): il colosso petrolifero brasiliano Petrobras, che fattura 145.900 milioni di Usd all'anno, guadagna 20.100 mln, detiene assets per 319.400 mln e ha una capitalizzazione di 180.000 mln. Questi numeri permettono al gigante brasiliano dell'energia di occupare la decima posizione a livello mondiale dopo Exxon Mobil, JP Morgan Chase, General Electric, Royal Dutch Shell, la banca cinese ICBC, HSBC, PetroChina, Berkshire Hathaway e Wells Fargo.

Il bollettino di guerra



Secondo Tommaso Cacciari non si può parlare di crisi senza citare banche e speculazioni finanziarie. "In questo Paese si legge la quotidianeità come un bollettino di guerra", ma quali sono le giuste politiche di sostegno al reddito?

La Grecia trucca il bilancio



La crisi greca, i bilanci truccati e la concreta possibilità che la penisola ellenica esca dall'euro. ma cosa succederà? Come si relazioneranno i tedeschi con questa scelta? Ed intanto Monti a settembre diceva che "la Grecia è l'esempio del grande successo dell'euro".

venerdì 18 maggio 2012

La storia di Tiziana Marrone



Tiziana Marrone è la moglie di Giuseppe Campaniello, l'artigiano che il 28 Marzo scorso si è dato fuoco davanti alla sede dell'Agenzia delle Entrate di Ozzano, in provincia di Bologna. Giuseppe è morto nove giorni dopo. Alla moglie non aveva mai detto dei problemi economici e delle difficoltà monetarie che l'hanno portato a compiere quel gesto.

La copertina - puntata 23 - Servizio Pubblico



In che modo l'Imu, la nuova tassa sugli immobili pensata dal governo Monti, influirà sulla vita degli italiani? Il Presidente del Consiglio attribuisce la responsabilità dell'attuale condizione economica del Paese alla politica dei suoi predecessori.

Sprechi a non finire



L'attenta analisi di Giacomo Vaciago sulle reali possibilità di acquisto e la necessità di operare tagli mirati e dove strettamente necessari. nell'ottica di una crescita strutturale, allontanata dal populismo e dalle facili affermazioni di costume.

Intervista a Le Pen

Tasse, mutui e follia sociale

mercoledì 9 maggio 2012

Avanzamento spread



L’allargamento degli spread nei confronti della Germania è dovuto a molteplici cause che risiedono sia nell’intervento di speculatori e sia nella sfiducia di altri investitori di lungo periodo sulla capacità dell’Italia di effettuare interventi duraturi ed incisivi sul debito pubblico. Lo spread quindi potrebbe ridursi grazie a sostenibili politiche fiscali e di riduzione della spesa pubblica al fine di tener sotto controllo l’indebitamento dello Stato riportando la fiducia degli investitori( mercati finanziari ) sull’Italia.

mercoledì 2 maggio 2012

Crisi finanziaria come uscirne

Tagli sulla spesa pubblica a fronte del debito pubblico con una buona crescita economica di un paese : + Pil - costi = + entrate. Da decenni che l’Italia non cresce economicamente.
Una buona riduzione della pressione fiscale, aiuterebbe i consumi, ed un assegno welfare per tutte quelle famiglie disagiate che non hanno diritto agli ammortizzatori sociali, = crescita economica
Il risparmio forzato delle famiglie del precariato non aiuta la crescita, = futuro incerto.
Contrastare l’evasione fiscale, con una componente cioè abbassare la pressione fiscale nei parametri morali, e sarebbe ; se un cittadino con un buon reddito ( scala mobile ) salariale, si trovano con un potere d’acquisto maggiore, lo stato potrebbe esercitare una pressione fiscale in maniera morale, quindi tutti pagheremmo le nostre tasse di nostra competenza
I paesi virtuosi quali: piccole economie, svizzera, olanda, australia, canada, paesi con i bilanci economici in regola, finanziare quei paesi con un maggiore deficit/debito
Tagli alle spese militari e rientro delle missioni di guerra in Libia ed in Afghanistan.
Abolizione di tutte le spese parlamentari in assenza di un periodo di contribuzione pari a quello di tutti i cittadini
Abolizione immediata dei finanziamenti pubblici ai partiti a partire da subito.
Abolizione dei finanziamenti diretti ed indiretti ai giornali con effetto retroattivo.
Regolarizzare con lo scudo fiscale la contribuzione del 60% dei capitali rientranti.
Abolizione di tutte le provincie.
Riduzione del 50% dei parlamentari.
Riduzione dei costi della politica. Es: 30 aerei + 2 elicotteri super pari nel 2010 a un totale di 8500 ore di volo.
No al clientelismo, più alla meritocrazia. Es: La Santanche ha chiesto l’intervento di Bisignani per la poltrona da sottosegretario.
Abolizione delle doppie e triple pensioni.
Tetto massimo per ogni pensione di 4.000 euro al mese.
Cancellazione delle grandi opere pubbliche ( Tav, Ponte di Messina, Gronda Genova ecc. Privatizzazione di enti pubblici surplus.
Eliminazione delle authority e degli stipendi dei trombati della politica lì collocati.
Eliminazione degli enti inutili, associazioni, fondazioni.
Tassare le rendite finanziare.
Tassare i grossi patrimoni in maniera equa.
Riduzione iva al 5%
TSE

Macché debito: Usciamo dall’euro e dal dogma tedesco


«Rimuoviamo l’euro, e l’Italia avrà meno bisogno dei mercati, mentre i mercati continueranno ad avere bisogno dei 60 milioni di consumatori italiani». Lo affermo, secondo il quale l’uscita dalla moneta unica europea è l’unica soluzione per superare la crisi del debito addossata allo Stato, che non può più utilizzare la leva della svalutazione. A guadagnarci è solo Berlino: «La domanda dei paesi europei, drogata dal cambio fisso, sostiene la crescita tedesca: e la Germania non rinuncerà a un’asimmetria sulla quale si sta ingrassando». Se il cambio è fisso, il peso dell’aggiustamento si scarica sui prezzi, che possono diminuire solo tagliando i salari e spremendo i lavoratori: quali risultano essere costi aziendali «Precarietà e riduzioni dei salari sono dietro l’angolo, la sinistra che vuole l’euro ma non vuole Marchionne mi fa un po’ pena».

«Sgomenta l’unanimità con la quale destra e sinistra continuano a concentrarsi sul debito pubblico». «Che lo faccia la destra non è strano: il contrattacco ideologico all’intervento dello Stato nell’economia è il fulcro della “controriforma” seguita al crollo del Muro». Eppure, «nessun economista ha mai asserito, prima del trattato di Maastricht, ( quale patto di stabilità ) che la sostenibilità di un’unione monetaria richieda il rispetto di soglie sul debito pubblico». Il dibattito sulla “convergenza fiscale” è nato dopo Maastricht : A riprova che soglie sono «insensate» e che Maastricht «è un manifesto ideologico: meno Stato (ergo più mercato)». Ma perché, a sinistra, nessuno mette in discussione questo dogma?
Se il problema fosse il debito pubblico, dal 2008 la crisi avrebbe colpito prima la Grecia (debito al 110% del Pil), e poi Italia (106%), Belgio (89%), Francia (67%) e Germania (66%). Gli altri paesi dell’eurozona avevano debiti pubblici inferiori. La crisi, invece, è esplosa prima in Irlanda (debito pubblico al 44% del Pil), Spagna (40%), Portogallo (65%), e solo dopo Grecia e Italia. Cosa accomuna questi paesi? «Non il debito pubblico (minimo nei primi paesi colpiti, altissimo negli ultimi), ma l’inflazione: già nel 2006 la Bce indicava che in Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna l’inflazione non stava convergendo verso quella dei paesi “virtuosi”», cioè Germania, Francia e Belgio. «Questo sì che era un problema: gli economisti sanno da tempo che tassi di inflazione non uniformi in un’unione monetaria conducono a crisi di debito estero, prevalentemente privato».
Se in un paese i prezzi crescono più in fretta che nei suoi partner, quel paese esporta sempre meno e importa sempre più, mandando in deficit la bilancia dei pagamenti ( Bilancia commerciale ). La valuta necessaria per acquistare i beni è meno richiesta e il suo prezzo scende, cioè il paese svaluta: in questo modo i suoi beni ridiventano convenienti e lo squilibrio si allevia. Effetti uguali e contrari si producono nei paesi in surplus, la cui valuta diventa scarsa e si apprezza. Ma se il paese è legato ai suoi partner da un’unione monetaria, il prezzo della valuta non può ristabilire l’equilibrio esterno, e quindi le soluzioni sono due: o il paese deflaziona, o i suoi partner in surplus inflazionano.
Nella visione keynesiana, i due meccanismi sono complementari: ci si deve venire incontro, perché surplus e deficit sono due facce della stessa medaglia (non puoi essere in surplus se nessuno è in deficit). Ai tagli nel paese in deficit deve accompagnarsi un’espansione della domanda nei paesi in surplus. Ma la visione prevalente è asimmetrica: l’unica inflazione buona è quella nulla, i paesi in surplus sono “buoni”, e sono invece i “cattivi”, quelli in deficit, a dover deflazionare, convergendo verso i buoni. E se non ci riescono? Le entrate da esportazioni diminuiscono e ci si deve indebitare con l’estero per finanziare le proprie importazioni. I paesi a inflazione più alta sono anche quelli che hanno accumulato più debito estero dal 1999 al 2007: Grecia (+78 punti di Pil), Portogallo (+67), Irlanda (+65) e Spagna (+62). Con il debito crescono gli interessi, e si entra nella spirale: ci si indebita con l’estero per pagare gli interessi all’estero, aumenta lo spread e scatta la crisi.
«Pensate veramente che ai mercati interessi con chi va a letto Berlusconi?», «Pensate che si preoccupino perché il debito pubblico è “alto”? Ma il nostro debito pubblico è sopra il 100% da 20 anni, e i nostri governi, anche se meno folcloristici, sono stati spesso più instabili». Non è questo che preoccupa i mercati, : «Quello che li preoccupa è che oggi, come nel 1992, il nostro indebitamento con l’estero sta aumentando, e che questo aumento, come nel 1992, è guidato dall’aumento dei pagamenti di interessi sul debito estero, che è in massima parte debito privato, contratto da famiglie e imprese (il 65% delle passività sull’estero dell’Italia sono di origine privata)».
Risultato: chi non deflaziona accumula debito estero, fino alla crisi, in seguito alla quale lo Stato, per evitare il collasso delle banche, si accolla i debiti dovuti agli squilibri esterni, trasformandoli in debiti pubblici. «Alla privatizzazione dei profitti segue la socializzazione delle perdite, con il vantaggio di poter incolpare a posteriori i bilanci pubblici». Una scelta, che è frutto della «ottusità ideologica» di chi si concentra sul sintomo (lo squilibrio pubblico, che può essere corretto solo tagliando), anziché sulla causa (lo squilibrio esterno, che potrebbe essere corretto cooperando). Il fatto è che i “buoni” non volevano affatto cooperare: «Lo scopo che si voleva raggiungere, cioè la “disciplina” dei lavoratori, è stato raggiunto».
Per capire perché l’Europa non funziona, basta guardare – in piccolo – all’Italia, nata anch’essa dall’unione di entità separate: «Festeggiamo quest’anno il 150° anniversario dell’unione monetaria, fiscale e politica del nostro paese. “Più Italia” l’abbiamo avuta, non vi pare? Ma 150 anni dopo la convergenza dei prezzi fra le varie regioni non è completa, e il Sud ha un indebitamento estero strutturale superiore al 15% del proprio Pil, cioè sopravvive importando capitali dal resto del mondo (ma in effetti dal resto d’Italia)». «Dopo cinquant’anni di integrazione fiscale nell’Italia (monetariamente) unita abbiamo le camicie verdi in Padania: Basterebbero dieci anni di integrazione fiscale nell’area euro, magari a colpi di Eurobond, per riavere le camicie brune in Germania».
L’integrazione fiscale non è politicamente sostenibile, perché «nessuno vuole pagare per gli altri, soprattutto quando i media, schiavi dell’asimmetria ideologica, bombardano con il messaggio che gli altri sono pigri, poco produttivi, che “è colpa loro”. Siano greci, turchi, o ebrei, sappiamo come va a finire quando la colpa è degli altri». Per di più siamo sostalzialmente paralizzati dall’euro, che è l’esito di due processi storici, che sono «il contrattacco del capitale» per recuperare l’arretramento determinato dal new deal post-bellico», e anche «la lotta secolare della Germania per dotarsi di un mercato di sbocco». A destra come a sinistra, «ci si estasia per il successo della “locomotiva” d’Europa», sostenendo che cresca intercettando la domanda dei paesi emergenti, ma i dati smentiscono i fan della Germania: dal 1999 al 2007 il surplus tedesco è aumentato di 239 miliardi di dollari, di cui 156 realizzati in Europa, mentre il saldo commerciale verso la Cina è peggiorato di 20 miliardi.
I giornali dicono che la Germania esporta in Oriente e così facendo ci sostiene con la sua crescita? Peccato che i dati dicano il contrario. «Ma perché i governi “periferici” si sono fatti abbindolare dalla Germania?». Forse perché la moneta unica favorisce una “illusione della politica economica” che «permette ai governi di perseguire obiettivi politicamente improponibili, cavandosela col dire che sono imposti da istanze sopraordinate». Per questo, «non è strano che un sistema a guida tedesca sia retto dal principio di Goebbels: basta ripetere abbastanza una bugia perché diventi una verità». Esempio: effimeri i vantaggi dell’infazione? Falso: dopo il ’92, l’Italia galoppò a una media del 2% fino al 2001. Cioè al fatidico ingresso nell’euro.
«Certo, la svalutazione renderebbe più oneroso il debito definito in valuta estera», ma in compenso «porterebbe da una situazione di indebitamento estero a una di accreditamento estero, producendo risorse sufficienti a ripagare i debiti, come nel 1992». Infine, rimarrebbe la possibilità del default. «Prodi vuol far sostenere una parte del conto ai “grossi investitori istituzionali”? Bene: il modo più diretto per farlo non è emettere Eurobond “socializzando” le perdite a beneficio della Germania (col rischio camicie brune), ma dichiarare, se sarà necessario, il default, come hanno già fatto tanti paesi che non sono stati cancellati dalla geografia economica per questo. È già successo e succederà».
“I mercati ci puniranno, finiremo stritolati!”. «Altra idiozia». «Per decenni l’Italia è cresciuta senza ricorrere al risparmio estero. È l’euro che, stritolando i redditi e quindi i risparmi delle famiglie, ha costretto il paese a indebitarsi con l’estero. Il risparmio nazionale lordo, stabile attorno al 21% dal 1980 al 1999, è sceso costantemente da allora fino a toccare il 16% del reddito. Nello stesso periodo le passività finanziarie delle famiglie sono raddoppiate, dal 40% all’80%». E allora? Prima o poi dall’euro usciremo, «perché alla fine la Germania segherà il ramo su cui è seduta». Ma nel frattempo, se continua a «fare ciò che fa la destra», la sinistra italiana ed europea sarà completamente distrutta.
«Berlusconi se ne andrà: dieci anni di euro hanno creato tensioni tali per cui la macelleria sociale deve ora lavorare a pieno regime. E gli schizzi di sangue – stonano meno sul grembiule rosso». E spiega: «Sarà ancora una volta concesso alla sinistra della Realpolitik di gestire la situazione, perché esiste un’altra illusione della politica economica, quella che rende più accettabili politiche di destra se chi le attua dice di essere di sinistra». Ad annaspare di più, sono proprio i politici di sinistra, «stretti fra la necessità di ossequiare la finanza e quella di giustificare al loro elettorato una scelta fascista non tanto per le sue conseguenze di classe, quanto per il paternalismo con il quale è stata imposta». Vie d’uscita? «Mi rendo conto che, in un paese nel quale basta una legislatura per meritarsi una pensione d’oro, il lungo periodo possa non essere un problema dei politici di destra e di sinistra. Questo spiega tanta unanimità di vedute».
TSE 2010

martedì 1 maggio 2012

L'idea di Socialismo (liberale)


 


tammaro.sebastiano
Tammaro.Sebastiano il 15/12/10 alle 18:21 via WEB
Sandro Pertini, sicuramente uno dei pochi ( statista e uomo ) come tutti noi lo conosciamo: A sempre affrontato problematiche di rilievo.Comunque tornando al l'idea di socialismo liberale Il Partito socialista, in Italia come nel resto d'Europa, intende riunire uomini e donne che, partendo da esperienze, culture e sensibilità diverse, si riconoscono in politiche riformiste, democratiche e liberali; si rivolge a tutti i cittadini senza distinzioni di genere e di orientamento sessuale, di etnia, di nazionalità e di religione e vuole dare voce a tutti coloro a cui vengono negati diritti ed interessi fondamentali

La verità


 

tammaro.sebastiano
tammaro.sebastiano il 15/12/10 alle 23:47 via WEB
La Guerra in Afghanistan  I ministri della Lega hanno scatenato una mini bufera nel governo chiedendo il ritiro delle truppe italiane dalle missioni internazionali, a cominciare dall'Afghanistan. Altri ministri hanno risposto che le missioni sono "un biglietto da visita dell'Italia nel mondo" e che l'impegno in Afghanistan è irrinunciabile. Un'idea condivisa dal momentaneo leader del PD: "I ragazzi italiani in Afghanistan devono finire il lavoro con un governo e un parlamento compatti alle loro spalle". Una frase così deve averla detta anche Cheney. D'altra parte anche il precedente governo di centrosinistra aveva rifinanziato la cosidetta "missione di pace" in Afghanistan, in realtà una situazione di guerriglia permanente che va avanti dal 2001. Il governo locale che ha sostituito i talebani, anche se fra poco dovrebbe tenere delle elezioni, non si può definire esattamente stabile, liberale o democratico. Inoltre è comunque un governo islamico tradizionalista che applica una sorta di sharia "leggera" al posto di quella pesantissima che vorrebbero i talebani. Ma per vedere in prospettiva come siamo arrivati a questo punto bisogna un attimo ripercorrere la storia dell'Afghanistan. Dal 1964 al 1978 l'Aghanistan ha avuto una costituzione liberale, prima con il regno di Zahir Shah, poi con la repubblica del suo ex primo ministro Mohammed Daoud Khan. In questo periodo bene o male ci furono riforme politiche e sociali, anche per i diritti delle donne, ma il paese rimase preda di una cronica instabilità politica e oberato da frequenti crisi economiche, nonostante l'appoggio dell'occidente, o forse a causa di esso. Nel 1978 prese il potere il partito socialista di Noor Mohammed Taraki. Sostenuto dall'Unione Sovietica, Taraki vietò l'usura, il latifondismo, il burka, i matrimoni forzati, riconobbe i diritti delle donne e i sindacati, iniziò a creare servizi sociali, una riforma agraria, promosse l'alfabetizzazione. Era probabilmente il miglior governo che l'Afghanistan avesse mai avuto, ma troppo filocomunista per i gusti degli americani. Allora il presidente Carter, democratico, decise di finanziare gruppi di guerriglieri contro Taraki. Questi guerriglieri erano in pratica signori della guerra, latifondisti delle aree tribali che si arricchivano con il commercio di droga, e avevano paura che il nuovo governo riuscisse a eliminarli, come avevano tentato invano di fare tutti i governi precedenti. Grazie all'appoggio dei leader religiosi che invitavano a combattere "gli atei comunisti", anche se il governo di Taraki non aveva in nessun modo limitato la libertà religiosa, questi banditi delle campagne potevano presentarsi come difensori dell'Islam. Il capo che gli americani scelsero di finanziare grazie al commercio di oppio con il Pakistan era Gulbuddin Hekmatyar, noto per sfigurare con l'acido le donne che violavano i precetti islamici e tagliare mani, piedi e genitali degli uomini che non gli piacevano. Taraki chiese l'aiuto dell'URSS, che però non volle intervenire per non entrare in conflitto diretto con gli Stati Uniti. Il vicepresidente filoamericano Amin però uccise Taraki e iniziò una feroce persecuzione dell'opposizione islamica, radicalizzando lo scontro. L'URSS, ritenendo Amin un uomo della CIA, invase l'Afghanistan nel 1979, occupando il paese e nominando Karmal presidente. L'amministrazione repubblicana di Reagan, nel frattempo salito al potere negli Usa, iniziò a finanziare sempre di più i combattenti islamici con l'aiuto di Osama Bin Laden, che nel 1988 fondò Al Quaida per trasformarla in un movimento di lotta fondamentalista islamica mondiale. Le truppe russe si ritirarono nel 1989, dopo 1 milione e mezzo di morti, 3 milioni di mutilati e 5 milioni di profughi, ma i russi continuarono a finanziare il governo laico del nuovo presidente Najibullah, mentre gli Stati Uniti continuavano a finanziare Bin Laden e gli islamici. Nel 1992 i movimenti di resistenza islamica presero il potere, fondando una repubblica islamica. Questa repubblica degenera ben presto in una guerra civile permanente di signori della guerra appoggiati dalla Russia, dagli Stati Uniti, dal Pakistan, dall'Iran e dall'India, con altre decine di migliaia di morti. Nel 1996 con l'aiuto degli Stati Uniti e del Pakistan il mullah talebano Omar prende il controllo di Kabul e instaura una feroce legge islamica. Vengono banditi gli aquiloni, la musica, i barbieri. Abbattutti i Buddha di Bamyan. Le donne vengono uccise per lapidazione semplicemente se osano guidare la macchina da sole. E soprattutto l'Afghanistan diventa la centrale operativa di Al Qaeda per attaccare l'occidente. Nel 2001, dopo l'11 settembre, gli americani aiutano la mai sconfitta resistenza ai talebani, l'Alleanza del Nord, che conquista Kabul dopo altri 30.000 morti. Karzai, ex consigliere della compagnia petrolifera americana Unocal e amico della CIA, diventa presidente. Il suo controllo sul paese si ferma ai dintorni della capitale. Nel resto dell'Afghanistan i signori della guerra sono sempre i padroni, a volte alleati dei talebani e volte della coalizione occidentale. Molti signori della guerra che prima combattevano gli occidentali sono poi passati dalla loro parte quando gli è stato concesso di continuare la coltivazione e il commercio di oppio. Nel 2005, alle ultime elezioni afghane, i signori della guerra hanno vinto. Intanto il governo afghano tenta spesso di stabilire tregue con i talebani e ora anche la Gran Bretagna dice che bisogna dialogare con i guerriglieri moderati, cioè quelli che si possono in qualche modo comprare. Perché in tutto questo occidentali, Pakistan e Russia si sono spartiti le notevoli risorse di gas naturale del paese. Ogni anno gli attacchi dei talebani uccidono circa 1500 civili. Quelli degli occidentali invece uccidono "per sbaglio" circa 1000 civili all'anno. Tutto questo si può chiamare missione di pace? Tutto quello che è accaduto in Afghanistan dal 1978 in poi è la conseguenza diretta delle spregiudicate e stupide manovre politiche ed economiche dell'occidente che hanno trasformato un paese che poteva lentamente progredire e modernizzarsi in un mucchio di macerie costantemente bombardato da chiunque. Per "vincere" in Afghanistan bisognerebbe fare tante cose che l'occidente non fa e forse non ha la minima intenzione di fare. Spezzare il potere dei signori della guerra, appoggiare un governo locale davvero laico e democratico, smettere di ammazzare i civili ogni santo giorno "per errore", creare le condizione per uno sviluppo economico che vada oltre il commercio di oppio, smetterla di rubare spudoratamente il gas naturale che dovrebbe appartenere agli afghani. L'opinione pubblica, occidentale e non, dovrebbe anche sapere quello che accade veramente in Afghanistan e come siamo finiti in questa situazione. Invece le televisioni raccontano che siamo lì a combattere Al Quaida, una semplificazione un pò eccessiva della situazione reale. Ma che va benissimo per vendere come "missione di pace" quella che in realtà è una vera e propria guerra per continuare a martoriare un paese dove negli ultimi 30 anni l'occidente non ha fatto una sola mossa giusta. Tammaro Sebastiano