martedì 30 ottobre 2012

Quali fattori hanno permesso alla Germania di evitare la distruzione di lavoro anche nei periodi più bui della crisi europea?





Stando a quanto indicato dai principali studi di analisi macroeconomiche, la risposta sta in quattro differenze essenziali tra Berlino e i paesi dell’Europa periferica. La prima grande differenza consiste nella presenza di un grande settore industriale,
caratterizzato da incrementi della produttività costanti e generalizzati, da una propensione all’export e da un mercato del lavoro significativamente flessibile. L’insieme di questi fattori opera come un grande scudo, svolgendo il ruolo di rifugio dinanzi alle incertezze occupazionali. La potenza del settore industriale, in particolare di quella dei grandi conglomerati multinazionali, offre un ombrello protettivo alle tante piccole e medie imprese del paese, che sono cresciute allo stesso ritmo dettato dai soci di maggiori dimensioni.
Gli incrementi di produttività costanti e generalizzati sono stati raggiunti mediante un sistema che lega gli incrementi salariali non tanto alle variazioni dei prezzi al consumo, ma all’evoluzione della produttività delle imprese o del settore di appartenenza. Questo metodo evita che si materializzino perdite di competitività causate da incrementi dei salari e margini di benefici eccessivi, com’è invece accaduto in tutti i paesi dell’Europa meridionale.
La forza delle esportazioni, legata al fattore ‘competitività, consente all’economia teutonica di diversificare i rischi a carico delle imprese, potendo fare affidamento simultaneamente su un mercato domestico e uno oltrefrontiera.
Altro elemento di grande importanza è l’elevata flessibilità del mercato del lavoro, che contrasta con la rigidità dei mercati del lavoro di altri paesi europei. Quando alla fine del 2008 la crisi economica metteva alle corde l’intera Europa, i paesi periferici hanno cominciato a distruggere occupazione. Gli aggiustamenti al mercato occupazionale in Spagna e Italia hanno seguito, nel primo caso, la via della distruzione di posti di lavoro e la conseguente impennata della disoccupazione, e nel secondo caso quella del ricorso massiccio agli ammortizzatori sociali. Al contrario, in Germania sono stati conservati i posti di lavoro e, in cambio, è stata accettata una riduzione dell’orario di lavoro. Quando la recessione si è fatta meno pesante, le imprese contavano con le risorse umane intatte e hanno semplicemente riportato sui livelli pre crisi il numero di ore di lavoro.
Alla base del successo tedesco c’è anche la perfetta simbiosi tra formazione e mondo delle imprese. Il ricorso a contratti di apprendistato ha realmente svolto il ruolo di canale introduttivo dei giovani nel mondo del lavoro. Quando i giovani sono integrati a pieno titolo, sono coinvolti nel sistema premiante secondo le capacità e l’impegno profuso. Questo sistema consente alla Germania di ridurre il gap esistente tra lavoro temporaneo o poco qualificato e quello a tempo indeterminato.
Pertanto, è possibile affermare che l’elemento fondamentale, quello che marca la differenza con i paesi periferici dell’eurozona, è
l’incremento costante della produttività, accompagnato da un elevato livello di flessibilità della contrattazione. Si tratta di differenze sottolineate dagli esperti già da molti anni, ma ignorate da governi, sindacati e organizzazioni delle imprese.
 



 

martedì 16 ottobre 2012

Negli Usa torna l'ombra dei mutui subprime. L'Europa corre altri rischi?

Negli Stati Uniti il mercato immobiliare sta dando segnali di risveglio. Lo indica l'indice case-Shiller , che misura l'andamento dei prezzi nelle più importanti 20 città statunitensi, che negli ultimi mesi ha invertito la rotta. E lo indicano anche i conti di Jp Morgan e Wells Fargo, due istituti che in questo momento - secondo quanto pubblica il Wall Street Journal - hanno in mano il 44% dei mutui Usa. Gli ultimi conti evidenziano un aumento dei margini dovuto proprio alla grande crescita dei rifinanziamenti.
In pratica ci sono molti mutuatari che stanno rinegoziando il contratto, magari chiedendo anche ulteriore liquidità. Questo perché i tassi sono praticamente azzerati (la Federal Reserve ha detto che li manterrà nel range 0-0.25% almeno fino al 2014). E, soprattutto, perché le banche sono adesso maggiormente disposte ad erogare rispetto a qualche trimestre fa, quando il conto della bolla subprime si faceva ancora sentire.
Nel frattempo qualcosa è cambiato. La Fed ha annunciato a fine settembre che stamperà a tempo indefinito (fino a quando le condizioni di mercato lo richiederanno) moneta per 40 miliardi di dollari al mese attraverso la quale acquisterà mutui-bond delle banche.
Per mutui-bond si intendono cartolarizzazioni di mutui, ovvero contratti di mutui trasformati in contratti derivati. In pratica il credito che una banca vanta su un mutuo viene trasformato in un altro contratto che può a sua volta essere ceduto a terze parti (in modo tale che, anche se spesso il mutuatario non lo sa, questi pagherà il mutuo realmente non più alla banca che glielo ha concesso ma al nuovo creditore).
In pratica la Fed comprerà mutui cartolarizzati dalle banche per quantità indefinite. L'obiettivo è di spingere nuovamente le banche ed erogare e le famiglie a comprare immobili attraverso i finanziamenti.
Il neo di questa vicenda è che le banche (che guardano i profitti immediati) sono incentivate a fare più contratti possibili (visto che hanno la protezione della Fed) e quindi in questo momento starebbero, secondo quanto risulta al Sole 24 Ore, rispingendo nuovamente il tasto subprime. Ovvero starebbero concedendo prestiti anche a categorie meno abbienti. Soggetti che, in caso di aumento dei tassi, molto probabilmente non saranno in grado di rimborsare il mutuo e perderanno la casa.
Una storia già vista, a partire dal 2007 quando appunto è esplosa la prima bolla subprime (figlia di prestiti facili concessi dal 2000 al 2003 e del crac dovuto al rialzo dei tassi operato dalla Federal Reserve tra il 2004 a il 2006 per raffreddare un'economia in forte espansione).
La differenza di quella che si appresta a diventare a tuti gli effetti la bolla subprime 2.0 è che in questo caso i contratti derivati li sta comprando la Fed mentre nel primo caso sono finiti anche nei portafogli delle banche europee, costrette poi a chiedere il salvataggio statale, con alcuni Paesi dell'Eurozona costretti a ruota a chiedere il salvataggio sovranazionale della Troika (Ue-Bce-Fmi).
Allo stesso tempo pare paradossale che le autorità non impediscano ma anzi alimentano (seppur indirettamente) erogazioni subprime. Le stesse che hanno costretto migliaia di americani a perdere la casa, semplicemente perché hanno abboccato all'esca lanciata dall'allora presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, e dal suo slogan "la tua casa è la tua banca".