sabato 28 luglio 2012

Concorrenza sleale

la sola liberalizzazione finanziaria e monetaria ha dimostrato di essere letale. Quando i paesi membri entrarono nell’Euro, nel 1999, fissarono i tassi di cambio relativi: le economie del nord, come la Germania, aderirono con un tasso di cambio molto più basso di quello dell’Europa meridionale. Risultato: enormi squilibri a vantaggio dell’esportazione tedesca e maxi-deficit per il Sud, che il sistema finanziario europeo ha liberalizzato ha riciclato come debiti.

Questa instabile combinazione ha retto per un decennio, ma è andata in frantumi in seguito alla crisi, tutta finanziaria, del 2008: le banche europee gravate da titoli-spazzatura sono state “salvate”, ma intanto la recessione ha ridotto le entrate fiscali e gonfiato la spesa pubblica. «Questa combinazione ha fatto sì che i debiti e i deficit pubblici aumentassero a dismisura: accoppiato ai deficit nella bilancia dei pagamenti, ciò ha comportato l’impossibilità per i Piigs di far fronte alle spese». È stata quindi la crisi finanziaria, e non l’eccessiva spesa pubblica, a creare la crisi dei debiti sovrani. «La Grecia, ad esempio, in percentuale rispetto al Pil, spende meno di quanto non facciano sia Germania che Francia». A condurre i Piigs verso il default «sono stati salvataggi e recessione», non certo la loro «dissolutezza». E per Atene, la bancarotta è ormai una certezza assoluta: «Con i soli interessi che l’anno prossimo rappresenteranno il 15% del Pil, la Grecia non ha alternative al default. Il debito è inesigibile».

Finora l’Europa ha risposto con l’offerta di aiuto agli Stati in difficoltà attraverso l’acquisto da parte della Bce di titoli del debito pubblico ad alto rischio. Obiettivo dei salvataggi: assicurare che il flusso del pagamento degli interessi rimanesse costante, anche a costo di costringere le popolazioni a tagli sul welfare sempre più severi. Peccato però, che la politica di austerità finisca per danneggiare ulteriormente l’economia reale, come ben sanno le vittime della politica europea, da Dublino ad Atene. Il rigore «privilegia gli asset finanziari, fabbricando i rimborsi del debito, anziché provvedere all’occupazione». Ben consapevoli del problema, «gli eterogenei governanti d’Europa non sono stati capaci, o non hanno voluto, trovare un accordo su niente: a questo dobbiamo il fatto che ora la crisi sia così rovinosa».

Lo shock finanziario del 2008, è stato trasformato in una crisi dei debiti sovrani, che si sta a sua volta ripercuotendo sul sistema finanziario: «Il default del debito sovrano minaccia di causare il collasso finanziario, ormai inevitabile». Eppure, l’Europa va elaborando una nuova versione dello stesso rimedio, già rivelatosi fallimentare: il Fondo Europeo di Stabilità, cassaforte da 400 miliardi creata per sostenere i Piigs, è stata ora gonfiata fino a 2.000 miliardi, sperando di «calmare il panico sui mercati mentre si negozia il taglio del debito pubblico greco cioè ristrutturarlo in modo da disinnescare la crisi». Ma, difficilmente il piano funzionerà: non c’è la garanzia che disposizione, il rigore deprimerà ulteriormente economie e società, mentre l’effetto a catena del default greco renderebbe insufficienti anche quei 2.000 miliardi. Unica soluzione: controllare i flussi di capitale e cancellare la politica di austerità che finirà per portare al collasso le società europee, dalla Grecia in su.

TSE

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